Cuore e montagna

Cuore e montagna

“... L’aere è così puro in quelle sommità e l’abitarvi così sano che gli uomini che stanno nella città e nel piano e valli, come si sentono assaltar dalla febbre di cadauna sorte o d’altra infirmità accidentale, immediate ascendono il monte e stanvi duoi o tre giorni, e si ritrovano sani per causa dell’eccellenza dell’aere”. Questa ottimistica descrizione degli effetti benefici dell’aria ad alta quota, data da Marco Polo nell’attraversare le montagne del Pamir, contrasta con l’atteggiamento frequentemente restrittivo dei medici, che ancor oggi spesso sconsigliano ai cardiopatici il soggiorno ad altitudini > 1000 m.

Ma cosa ci dice la letteratura scientifica?

La montagna è da sempre un luogo di benessere, ma cosa succede quando a frequentarla è una persona con una malattia cardiovascolare? È sicuro salire in quota? Fino a che altitudine? E quali rischi bisogna considerare?

Un’importante rassegna pubblicata sul Giornale Italiano di Cardiologia (Savonitto e Piatti, G Ital Cardiol 2023;24(11):872-879) affronta in modo approfondito questi interrogativi, alla luce delle evidenze cliniche e delle raccomandazioni delle Società Scientifiche internazionali.

Cosa succede al cuore in alta quota?

Salire in quota espone il nostro organismo a una condizione di ipossia ipobarica (aria più rarefatta e meno ossigeno), che innesca risposte adattative del sistema cardiovascolare: aumento della frequenza cardiaca, della contrattilità miocardica e della pressione arteriosa, soprattutto nei primi giorni.

Tuttavia, fino a 3500 metri, la maggior parte dei pazienti cardiopatici “cronici”, ben compensati, in terapia medica ben condotta, può soggiornare in sicurezza, anche praticando attività fisica moderata. Il rischio di eventi cardiovascolari gravi non dipende dall’altitudine in sé, ma piuttosto dall’intensità dello sforzo fisico.

Studi recenti hanno anche dimostrato che escursionisti e sciatori abituali non presentano un tasso maggiore di eventi cardiovascolari rispetto a sportivi a bassa quota. Anzi, un’attività fisica regolare durante l’anno rappresenta un potente fattore protettivo.

Fattori di rischio da non sottovalutare:

Oltre alla quota, vanno considerati:

  • Temperature rigide e vento, che aumentano il lavoro cardiaco;

  • Disidratazione, frequente per l’aumento della diuresi e la bassa umidità;

  • Distanza dai centri di emergenza, un fattore cruciale in caso di eventi tempo-dipendenti come infarto o ictus.

Chi dovrebbe evitare l’altitudine?

Secondo le linee guida europee e americane, sono sconsigliate escursioni in quota in caso di:

  • Pazienti con cardiopatie avanzate, disfunzione ventricolare e scompenso cardiaco severo

  • Pazienti con angina instabile o refrattaria, quindi pazienti con malattia coronaropatia

    complessa, “instabili” dal punto di visita clinico

  • Pazienti con ipertensione arteriosa non controllata; pazienti con valori tensivi elevati anche

    in pianura, con l’altitudine, possono andare incontro facilmente a crisi ipertensive

  • Pazienti con valvulopatie complesse (es.stenosi aortica)

  • Pazienti con aritmie ventricolari di alto grado

  • Cardiopatie congenite complesse “(cianogene”) con ipertensione polmonare

Quali raccomandazioni?

  • Valutazione clinica pre-partenza

  • Limitare l’attività nei primi giorni

  • Evitare sforzi isometrici e condizioni climatiche estreme

  • Monitorare i sintomi durante l’attività

  • Iniziare gli sforzi in modo graduale

In conclusione:

Per il cardiopatico stabile, ben controllato, la montagna non è vietata, ma richiede:

  • un’accurata valutazione clinica,

  • una terapia farmacologica ben impostata, in particolare la terapia antipertensiva

  • un’attività fisica graduale

  • e una pianificazione attenta dell’ambiente e delle condizioni

Centro Cuore offre valutazioni specialistiche per cardiopatici che desiderano vivere la montagna in sicurezza. Dalla prevenzione al controllo terapeutico, accompagniamo ogni paziente nella sua passione... anche ad alta quota.

Alessandro Daniotti